E se la felicità fosse una trappola?

Stamattina leggendo, mi ha colpito la storia che condivido. Incontra la convinzione di quanto spesso capiti di non essere soddisfatti della vita che si ha e di come siamo costantemente alla ricerca di qualcosa di diverso, che non c’è.
Mi chiedo se questo non sia il risultato del cercare quella felicità che siamo convinti debba essere da qualche parte, ma che non si fa trovare facilmente e non per tutti. E se raggiungere la felicità fosse qualcosa di non vero? e se fossero proprio i nostri sforzi per cercarla a renderci infelici, insoddisfatti?
Non ho l’arroganza di pensare di avere la risposta giusta, solo l’intento di introdurre il dubbio e di stimolare ad amare con più consapevolezza quello che già abbiamo. Buona lettura.

LA STORIA
Mentre mia moglie mi serviva la cena, mi feci coraggio e le dissi: «Voglio il divorzio».
Vidi il dolore nei suoi occhi, ma chiese dolcemente: «Perché?».
Non risposi e lei pianse tutta la notte. Mi sentivo in colpa, per cui sottoscrissi nell’atto di separazione che a lei restassero la casa, l’auto e il trenta per cento del nostro negozio. Lei quando vide l’atto lo strappò in mille pezzi e mi presentò le condizioni per accettare.

Voleva soltanto un mese di preavviso, quel mese che stava per cominciare I’indomani:
«Devi ricordarti del giorno in cui ci sposammo, quando mi prendesti in braccio e mi portasti nella nostra camera da letto per la prima volta. In questo mese ogni mattina devi prendermi in braccio e devi lasciarmi fuori dalla porta di casa».

Pensai che avesse perso il cervello, ma acconsentii… Quando la presi in braccio il primo giorno eravamo ambedue imbarazzati, nostro figlio invece camminava dietro di noi applaudendo e dicendo: «Grande papà, ha preso la mamma in braccio!»

II secondo giorno eravamo tutti e due più rilassati. Lei si appoggiò al mio petto e sentii il suo profumo sul mio maglione.
Mi resi conto che era da tanto tempo che non la guardavo. Mi resi conto che non era più così giovane, qualche ruga, qualche capello bianco.
II quarto giorno, prendendola in braccio come ogni mattina, avvertii che l’intimità stava ritornando tra noi: questa era la donna che mi aveva donato dieci anni della sua vita, la sua giovinezza, un figlio. Nei giorni a seguire ci avvicinammo sempre più. Ogni giorno era più facile prenderla in braccio e il mese passava velocemente. Pensai che mi stavo abituando ad alzarla, e per questo, ogni giorno che passava la sentivo più leggera. Mi resi conto che era dimagrita tanto.
L’ultimo giorno, nostro figlio entrò all’improvviso nella nostra stanza e disse:

«Papà, è arrivato il momento di portare la mamma in braccio».
Per lui era diventato un momento basilare della sua vita.
Mia moglie lo abbracciò forte ed io girai la testa, ma dentro sentivo un brivido che cambiò il mio modo di vedere il divorzio. Ormai prenderla in braccio e portarla fuori cominciava ad essere per me come la prima volta che la portai in casa quando ci sposammo… la abbracciai senza muovermi e sentii quanto era leggera e delicata… mi venne da piangere!
Mi fermai in un negozio di fiori. Comprai un mazzo di rose e la ragazza del negozio mi disse:

«Che cosa scriviamo sul biglietto?».
Le dissi: «Ti prenderò in braccio ogni giorno della mia vita finché morte non ci separi».
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso sulla bocca, ma mi dissero che mia moglie era all’ospedale in coma. Stava lottando contro il cancro ed io non me n’ero accorto.
Sapeva che stava per morire e per questo mi aveva chiesto un mese di tempo, un mese perché a nostro figlio rimanesse impresso il ricordo di un padre meraviglioso e innamorato della madre.
Lei aveva chiaro quali fossero i dettagli, i semplici dettagli, che contano in una relazione. Non sono la casa, la macchina, i soldi… Queste sono cose effimere che sembrano saldare un’unione e invece possono dividerla.

A volte non diamo il giusto valore a ció che abbiamo fino a quando non lo perdiamo!

Dott.ssa I. Marinucci
Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale
Riceve a Vasto (Ch)
Cell. 334.1372907

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